mercoledì 10 aprile 2013

Come ho conosciuto il re dei barboni

Montecatini 1986 Foto WDM


Nel 1984 avevo iniziato a documentare fotograficamente, in modo abbastanza sistematico, le rovine delle aree dismesse della zona Bovisa, a Milano. 
Mi divertiva scoprire nuovi panorami da: "The day after"; in più ero mosso dal tentativo di comprendere cosa significasse ritornare negli stessi luoghi abbandonati a distanza di tempo, in stagioni diverse e momenti diversi.

Questa ricerca personale porterà poi all'esposizione del mio lavoro in una mostra fotografica,  che avevo intitolato: "Dentro la Bovisa". Questa ricerca non è ancora terminata e conto di riprenderla nei prossimi anni, ritornando negli stessi luoghi per riprenderli nuovamente con tecniche diverse e portare a termine il mio progetto che sarà corredato da nuovi testi.
Durante una delle mie escursioni solitarie, alla ricerca di nuovi scorci e nuovi segni lasciati dal trascorrere del tempo, eravamo intorno al 1986, avevo incontrato per la prima volta Armando. Riporto di seguito il testo originale che scrissi all'epoca per registrare quell'incontro. WDM

20 dicembre 1990 Piazza Bausan, Milano Fotografia di Luca Pedroli.
Armando era tornato in Bovisa per visitare la mostra fotografica esposta in via Livigno ed in quella occasione conoscemmo Luca Pedroli che ci scattò delle fotografie.



INCONTRO IL RE DEI BARBONI

E' un caldo pomeriggio di fine agosto, scendo degli scalini e lascio il treno che mi ha portato a Milano alle mie spalle. Mi dirigo verso casa; a pochi passi dalla stazione c'è uno spiazzo assolato; procedo stancamente sotto il peso dei miei bagagli. Improvvisamente, da dietro un angolo del muro di cinta di una delle poche fabbriche ancora attive, compare un vecchio uomo abbigliato in modo eccentrico. Lo guardo e mi accorgo che si sta dirigendo verso di me. Siamo gli unici viandanti in un paesaggio deserto e desolato. L'uomo si muove con nervosismo; la mia attenzione si concentra sui suoi lunghi capelli argentei e su un grosso fiocco rosso da pittore che sboccia dalla sua folta barba bianca.
L'uomo si ferma davanti a me ed immediatamente mi chiede dove si trova il "Centro della Bovisa".
Le parole del vecchio giungono alle mie orecchie, ma la mia mente reagisce come se non riuscisse ad interpretare bene la sua domanda. Rimango stupito ed un po'confuso; è da più di due anni che compio dei movimenti concentrici in questa zona senza capire esattamente qual'è la mia destinazione.
Osservo ogni muro, ogni mattone, ogni spazio aperto che incontro, sono affascinato da questi luoghi dimenticati da tutti e da tutti volutamente ignorati.
Le industrie chimiche sorte alla fine del Milleottocento ed agli inizi del Millenovecento stanno crollando a causa delle condizioni d'abbandono in cui si trovano. Alcune sono già state demolite, le altre subiranno tra poco la stessa sorte. E' affascinante camminare tra le rovine della civiltà industriale; vengono alla mente molti pensieri; è un viaggio all'interno delle mie origini e della mia coscienza: la pace ed il silenzio degli spazi deserti consentono all'uomo di ritrovare se stesso.
La voce del vecchio risuona nell'aria ripetendo la sua arcana richiesta ed io abbandono l'immaginario percorso sviluppatosi nella mia mente, ma non riesco a trovare una risposta che possa soddisfare adeguatamente la sua bizzarra curiosità.
Ritenevo di conoscere la zona piuttosto bene, mi ero avventurato nelle stanze vuote di palazzi disabitati da decenni, avevo calpestato sentieri inesistenti che si addentravano nelle profondità di una vegetazione selvaggia cresciuta in un luogo da cui gli uomini si erano, un giorno, allontanati, proprio come se molti di loro fossero stati colpiti da qualche misteriosa epidemia.
Io, che avevo imparato a muovermi con sicurezza su pavimenti incrinati e scale pericolanti, non mi ero ancora chiesto quale potesse essere l'epicentro intorno al quale tutto questo degrado si muovesse ed intorno al quale io stesso ruotavo.
Può sembrare un paradosso, eppure, nonostante apparentemente nessuno entrasse in questi territori proibiti, si potevano riscontrare perennemente i segni di altre presenze.
Vengo riportato alla realtà dall'assurda fretta di un tipo bizzarro che pare essere soltanto una presenza anacronistica in un luogo dimenicato da tutti. Credo che anche questo uomo stia cercando qualcosa. Dice di essere un artista, ha con sè una borsa logora ed una cartelletta piuttosto ingombrante. Dall'insistenza con cui parla del "Centro della Bovisa” capisco che il mio interlocutore non deve avere le idee molto chiare. Sembra piuttosto deluso da ciò che vede, forse non si aspettava di trovare le rovine della civiltà industriale, bensì la piazza di un borgo medie vale mai esistito. Vorrei dirgli che si trova in una zona settentrionale di Milano, ma decido che, forse, è meglio indirizzarlo verso Piazza Bausan. Se ne va deluso, senza salutare. Io riprendo la mia strada senza curarmi più del destino del vecchio vagabondo. Il giorno seguente, una domenica, ritorno nei luoghi delle mie solite osservazioni. Cammino per le strade semideserte e sbudellate dai lavori in corso pensando ancora dove si possa collocare il centro della Bovisa. Mi chiedo se il centro geografico della zona corri sponda ad una via, una piazza, un edificio, una panchina o cos'altro.
Sto percorrendo Via degli Imbriani, incrocio alcuni passanti appena usciti da una gelateria. Nei loro volti leggo la soddisfazione di ritrovarsi insieme in un pomeriggio che si vorrebbe veder volgere in sera, per dimenticare in fretta una giornata anonima e vuota. Un uomo con un grambiule bianco e con un berretto dello stesso colore mi saluta e mi guarda con aria interrogativa da dietro un contenitore-frigorifero. "Pistacchio e nocciola, grazie".Dopodichè mi dirigo lentamente verso Piazza Bausan. All'angolo con la Via Mercantini mi fermo. Sul marciapiede c'è qualcosa scritto con dei gessetti colorati:

Attesa
Non dite che meglio sarebbe stato tenere le ricchezze nel cassetto.
Un bimbo grida e piange nella stalla.

Polvere e nuvole di fuoco nell'aria,
l'oro fonde e l'acqua bolle.
Un deserto di cadaveri viventi,
l'uomo grida e piange le ricchezze.

Ma contro i cavalieri, dodici pescatori, con quaranta spade di stoffa
ed armature di cenci, guidati da una colomba combattono per noi.

Un re, con una bandiera di un sol colore canta una vecchia canzone
e la canzone è amore.

Vicino a questa poesia ce n'è un'altra, alcune parole sono un po' cancellate, ma è comunque leggibile.

Silenzio
Silenzio.
Una Parola misteriosa, quasi magica.
Infiniti significati sono nascosti dietro ad un silenzio:
un consenso, un rifiuto,
una promessa per l'eternità.
Un silenzio può dire più di mille parole
per chi sa e vuole ascoltare.
Si può far sognare con un silenzio.
Ma si può anche far morire.

E noi col nostro silenzio abbiamo ucciso un amore.

Alzo gli occhi dall'asfalto, accanto a me si è fermato un uomo anziano. Legge molto attentamente "Silenzio" e poi si sposta per vedere meglio le parole che compongono "Attesa".
Attraverso la strada, un cartello avverte i cittadini che quando saranno terminati gli scavi e la posa di certe condutture tutti potranno beneficiare di un servizio moderno, in quanto poco inquinante. E pensare che a poche centinaia di metri da qui nessuno sembra essersi mai preoccupato di danneggiare
l'ambiente.I marciapiedi, così ridotti, consentono il passaggio di una sola persona alla
volta, poco più avanti, dove lo spazio è maggiore qualcuno ne ha subito approfittato per scrivere qualcosa per terra:

Tamburi suonano a festa
Nel gran silenzio suonava un violino
è festa, è nato Gesù Bambino.
Casca l'Impero Romano cascano tutti gli imperi.

Frugo nello zaino che contiene le mie macchine fotografiche, finalmente riesco a recuperare dal fondo un quaderno sul quale trascrivere le poesie di un uomo che credo di conoscere.
Già domani questi versi non ci saranno più; nonostante non ci sia molto spazio per camminare, la gente non li calpesta, ma questa sera probabilmente pioverà.

Milano 1988, WDM

Walter e Armando Foto di Luca Pedroli

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